IL SANGUE DELLA MADRE

PERSONAGGI ED INTERPRETI

Fedele e devoto alla divinità, eppure abbandonato alle Erinni, come un criminale abominevole … Oreste è l’uomo del conflitto: obbediente al dio, che gli impone di vendicare il padre tradito e assassinato, sente crescere dentro di sé l’orrore irrefrenabile per il matricidio che è chiamato a compiere, o che ha scelto di compiere. E le Erinni, nelle quali si trasfigurano le ancelle, che lo hanno atteso fedelmente per anni, e la stessa sorella Elettra, prima sue alleate, altro non sono che gli incubi emersi dalla sua lacerata coscienza.

Egli vive tutto per Oreste, sempre in funzione di lui, “sempre al suo fianco” … per lui si farà voce del dio Apollo, richiamando con solenni parole l’incerto amico al duro dovere. Alla fine cercherà di assisterlo e consolarlo; ma dovrà prendere atto che qualcosa di troppo grande, di incomprensibile, si è abbattuto sulla casa sventurata degli Atridi.

Appare in scena timida e incerta, velata come da un’ombra; è sospettosa e scontrosa con lo sconosciuto … poi, finalmente, felice: ma di una felicità incredula e ancora incapace di esprimersi veramente. Certo, vuole vendetta: ma a lei si addicono soprattutto il lutto e il dolore. Decisa a differenziarsi dalla madre, partecipa con intensità al compianto funebre per il genitore (che a lei manca ed è mancato particolarmente); poi rientra in casa e scompare. Il regista la farà uscire ancora alla fine, a pronunciare una sentenza che suona sibillina, e che precede la metamorfosi della infelice Elettra in Erinni.

Personaggio di straordinaria grandezza e complessità. Scrisse Raffaele Cantarella, grecista illustre: “Sulla coralità complessiva dell’Orestea si leva, alta e sola, come il poeta l’ha concepita, Clitennestra: adultera e madre, dissimulatrice e superba, ambigua e feroce, tenera e beffarda, sempre combattiva … il sangue che ella ha versato la perseguita negli incubi … ella sa bene che cosa significhi il serpente partorito in sogno, che succhia dalla sua mammella latte e sangue; ma vorrebbe vivere: per questo manda le offerte al marito ucciso … eppure, quando le annunciano la morte di Oreste (liberazione per lei ed il suo amante) è sincera nel vedere con la morte del figlio la fine di tutto. Quando Oreste sta per trafiggerla, chiede pietà, ma non tanto per se stessa, ormai: ella rifiuta che il figlio infranga una legge di natura; l’istinto impersonale della madre si ribella in lei, e la spinge a mostrare al figlio il seno che lo nutrì …”

Il rifacimento del testo gli ha dato uno spazio che altrimenti non avrebbe. Egli introduce e conclude il dramma, parlando agli spettatori dell’antefatto e dei successivi sviluppi della vicenda. Sempre in un tono fondamentalmente sarcastico. Quando compare davvero sulla scena si dimostra altezzoso, vanaglorioso e comunque sciocco, o cieco.

E’ un esempio dell’importanza, anche per l’autore antico, delle piccole figure, di ceto sociale inferiore ai nobili protagonisti. Cilissa è rimasta innocente in una reggia corrotta; sa trovare parole di semplice, ma pura umanità; si commuove profondamente al ricordo delle tenere cure prodigate al “suo” piccolo Oreste; ed  è addolorata fino alle lacrime per la notizia della sua morte: “quelle lacrime che Clitennestra non ha versato per suo figlio” (A. Lesky).

Sono comparse, che svolgono una funzione di contorno, comunque necessaria all’insieme. Vivono di pochi gesti, di una o due battute, dense tuttavia di significato. “I morti uccidono i vivi!” – grida il Custode della reggia alla sua padrona, prima di fuggire spaventato dalla furia inattesa dello straniero, annunciando, senza forse saperlo, il compimento di una profezia implacabile. “Vendetta e morte” sono appunto le merci che, con ironia invece consapevole, avevano dichiarato di introdurre nel palazzo i due falsi mercanti al seguito di Oreste e Pilade. Comparse dunque, ma che possono restare indelebili nella mente degli spettatori: anche a prescindere dalla farsa finale (Il ripensamento), in cui il regista ha trovato per loro uno spazio maggiore, in vesti differenti.

Il Coro partecipa a tutta l’azione drammatica, restandone tuttavia separato in uno “spazio” suo particolare (che nell’antico teatro greco era fisicamente determinato come orchestra, cerchio sacro a Dioniso, posto dinnanzi alla scena). La partecipazione del Coro agli eventi è in effetti più “spirituale” che materiale: dopo avere portato le offerte alla tomba di Agamennone e dopo aver partecipato alla funebre lamentazione insieme ad Elettra e Oreste, il Coro non interviene più, se non commentando ciò che vede o sente accadere. Il commento della vicenda è del resto la funzione essenziale del Coro, dove la sapienza greca (in questo caso l’etica della vendetta – giustizia) si esprime attraverso frasi sentenziose, parole martellanti, immagini forti e vive, pronunciate dalle varie voci femminili in cui il Coro si divide. Ciò avviene soprattutto negli stasimi, durante i quali alle parole si accompagnano musica, gesti e movimenti, con il risultato di una moltiplicazione dei significanti e quindi di un’amplificazione e  di un potenziamento dei significati.

All’interno del Coro, la Corifea (voce A) rappresenta il tramite fra il gruppo delle voci nel suo insieme ed i personaggi agenti, intervenendo più spesso nel dialogo e nell’azione degli episodi, con il suo concreto sostegno al piano di Oreste, di cui ella si fa complice attiva (mandando la Nutrice a chiamare Egisto e convincendo quest’ultimo ad entrare, solo, nel palazzo dove lo attende la morte).

La metamorfosi finale delle Coefore in Erinni, voluta dal regista, rilancia il ruolo del Coro con funzioni e simboli nuovi ed inattesi.